Gesù ci ha messo la faccia

di fra Alessandro Futia

«Trista quella vita che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione»

«Chi venera l'icona, venera in essa l'ipostasi di colui che vi è inscritto»

Ci addentriamo in un tema che oggi la fa da padrone – il culto dell’immagine – ma che ha radici molto profonde e che, secondo Aristotele, riguarda il senso più rilevante ai fini della conoscenza: la vista (cfr Metafisica I, 980 a).

Noi vogliamo parlare qui di una immagine in particolare. Quella del più bello tra i figli dell’uomo” (Sal 45,3), Gesù di Nazareth, Verbo Incarnato. 

Come afferma la Costituzione pastorale Gaudium et spes al numero 22: 

«Cristo, che è il nuovo Adamo, proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l’uomo a se stesso e gli manifesta la sua altissima vocazione». 

Solo Cristo rivela l’uomo a se stesso e solo in merito alla sua icona, principalmente, si può parlare di un legittimo culto dell’immagine.

Se lasciamo da parte le prime rappresentazioni aniconiche di Cristo (pesce acrostico, pavone, chi rho – XP, ecc) è possibile constatare, a partire da un dato momento storico in avanti, il moltiplicarsi delle immagini del volto di Gesù. 

Perchè, e come si è arrivati a una immagine standardizzata?

Il processo delle raffigurazioni antropomorfe di Cristo è stato storicamente molto lungo e intreccia motivazioni di carattere teologico ad altre di ambito politico. Inizialmente proibite sulla base dei divieti scritturistici, presenti soprattutto nell’Antico Testamento, il rifiuto delle immagini è stato progressivamente abbandonato in epoca paleocristiana.

Lo storico Alain Besançon individua l’origine della crisi già in san Paolo. La sua predicazione annunciava Cristo come «l’immagine del Dio invisibile» ed è l’idea che sta a fondamento della difesa dell’iconodulia (la venerazione delle immagini sacre). Secondo gli iconoduli, la rappresentazione di Cristo è una forma di proclamazione del dogma centrale del Cristianesimo: l’Incarnazione del Verbo. Senza voler entrare nei processi che hanno portato prima alla venerazione, poi all’iconoclastia, e infine al ristabilimento dell’Icona come luogo della presenza di Dio e strumento per la preghiera, torniamo al tema del Volto di Cristo. 

Nelle catacombe romane (per esempio in quelle di santa Priscilla), si trovano rappresentazioni risalenti al III e IV secolo che mostrano Cristo come un giovane pastore, imberbe, con capelli corti, mentre nel mausoleo di Santa Costanza a Roma (IV sec) appare con tratti fisiognomici simili, anche se con capelli lunghi, ma nell’abbigliamento viene accostato idealmente all’imperatore, almeno nella scelta dei colori (viola e oro). Una delle più antiche rappresentazioni è stata rinvenuta a Dura Europos ed è databile al 235 ca. Si tratta di un’immagine in cui Cristo guarisce il paralitico, ma qui non c’è ancora una vera caratterizzazione del volto.

La più antica icona raffigurante Cristo, ancora esistente, si trova al monastero di Santa Caterina nella penisola del Sinai, in Egitto. Viene fatta risalire al VI secolo, ma la differenza con le immagini precedenti è abissale. Questa viene considerata il prototipo di tutte le icone prodotte in seguito, in varie parti dell’Asia e dell’Europa.

Ma da dove viene questa particolare tipizzazione iconografica?

Se osserviamo da vicino il volto scritto sull’icona, evitando spiritualizzazioni e letture interpretative varie che sono state elaborate da esperti e “non addetti ai lavori”, possiamo notare alcune caratteristiche peculiari: La carnagione è chiara. I capelli (lunghi) insieme alla barba sono di colore scuro, tra il castano e il nero. Il naso ha una leggera gobba su un lato solo, come dovuta a una frattura. La guancia sinistra (destra sull’icona) ha un colore violaceo, come se fosse stata colpita e ora recasse una tumefazione. La barba non è piena, particolare questo che andrà accentuandosi producendo un vuoto al centro, come se la barba di Cristo fosse biforcata.

Da dove provengono tutti questi dettagli che durante i primi secoli dell’era cristiana era stato impossibile produrre?

Uno studio firmato da Alan Whanger sostiene che tra il Pantocrator del Sinai e la Santa Sindone ci sono circa 31 caratteristiche comuni per cui l’artista che realizzò l’icona doveva conoscere l’esistenza di questa reliquia.

Un altro studioso, il docente di Storia dell’Arte dell’Università di Valencia, Jorge Manuel Rodríguez Almenar, sostiene che l’effigie dell’icona che si trova in suddetto monastero derivi dall’immagine della sindone di Torino, per cui le caratteristiche proprie del volto di Cristo non sarebbero una idealizzazione ma avrebbero appunto come referente principale il volto del santo sudario.

Per saperne di più dovrete aspettare il prossimo articolo… to be continued.