
La vita è rappresentabile come un mare immenso in cui possiamo prendere tutte le direzioni possibili. All’inizio appare meraviglioso ed entusiasmante; poi sorge il problema della direzione da prendere nell’infinito flusso di cose, relazioni ed eventi.
Come orientarsi? Vita non è semplicemente vivere.
Nel Vangelo di Marco (6, 30-34) si dice:
Gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po’». Erano infatti molti quelli che andavano e venivano e non avevano neanche il tempo di mangiare. Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono, e da tutte le città accorsero là a piedi e li precedettero. Sceso dalla barca, egli vide una grande folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore che non hanno pastore, e si mise a insegnare loro molte cose.
Gesù vede persone perse “come pecore senza pastore”. Capita anche a noi. È il tema della guida.
La guida.
Gesù vede la gente e osserva che troppo poco viene usata l’anima. Abbiamo una guida interiore, l’anima; essa si attiva e si accende grazie alla guida esteriore. In campo spirituale la guida è decisiva: nessuno può entrare dentro se stesso in contatto con il proprio mondo interiore, la propria follia, senza un mediatore, senza un riferimento.
Nella Divina Commedia, Dante è figura del viandante e viene accompagnato nel suo viaggio, prima da Virgilio, poi da Beatrice, infine da San Bernardo.
Cosa dicono i vangeli? Cosa esplicita Dante? Solo quando l’uomo ammette di non potercela fare con le sole sue forze, smette di pretendere, cade dal piedestallo della presunta onnipotenza, solo allora può comparire il Maestro; perché la guida può arrivare solo quando l’allievo, il discepolo, il viandante è pronto.
Dante incontra la sua guida, Virgilio, quando è nella selva oscura e gli si fanno avanti le tre belve feroci (la lonza, il leone e la lupa); si rende conto di essere perduto e che le sue sole forze non sono sufficienti; solo a questo punto vede un’ombra venirgli incontro e dice
Miserere di me, qual che tu sii, od ombra od omo!
Quella confessione di impotenza esprime un’apertura di cuore, un’apertura d’animo che attiva le forze superiori dell’essere umano. Potremmo dire che prima di tutto il Maestro è quella grazia divina che può venire in nostro soccorso se ci apriamo alla nostra impotenza. È interessante che Virgilio appaia come un’ombra, come qualcosa che non si può catturare e possedere. Così l’uomo comincia a percepire la propria anima ad un livello intuitivo; col tempo il viandante prenderà sempre più confidenza con la sua guida interna.
Gesù non ha mai forzato nessuno. Non ha mai detto “devi credermi”; piuttosto ha detto “se vuoi, seguimi”. Nessuna forzatura! Mai!
Dante, riferendosi a Virgilio, dice
allor si mosse e io li tenni dietro…
Virgilio non forza Dante, e Dante sceglie di seguirlo perché è pronto a farlo. Il discepolo non sa fin dove lo porterà la guida, ma la segue, si affida. Così pure chi ha incontrato Gesù e lo ha seguito, ha scelto di seguirlo.
Il compito del maestro non è quello di risolvere i problemi. Dante spesso cade in questo inganno, come tanti chiedono a Gesù di dirimere questioni personali ma si vedono rispondere: chi sono io? Sono forse giudice? Conduce alla radice del problema. Mai si presenta come uno che vuole risolvere i problemi. Piuttosto, il vero maestro cammina e fa scendere il suo discepolo nel baratro, fin nell’inferno e nel purgatorio, senza sconti, se necessario. Virgilio accompagna Dante a vedere ogni stato interiore dell’uomo, senza risparmiargli nulla; lo accompagna e lo incoraggia ad andare al fondo di se stesso e della realtà.
Questo fa una vera guida: sa di essere solo uno strumento, il resto accade. Sa che tutto è nelle mani di Dio, sa di essere uno strumento al servizio di un amore più grande. La guida sa anche rendersi inutile. Progressivamente avviene il distacco: alla fine del Purgatorio,
Virgilio saluta Dante, lo incorona e gli dice: sei capace di condurre la tua vita, vai!
Non aspettar mio dir più né mio cenno;
libero, dritto e sano è tuo arbitrio,
e fallo fora non fare a suo senno:
per ch’io te sovra te corono e mitrio
[Non aspettare più le mie parole né i miei cenni;
la tua volontà è ormai libera, rivolta al bene e integra,
ed errore sarebbe non assecondarla:
perciò io ti proclamo signore e guida di te stesso].
(Purgatorio, XXVI 139-142)