
Cammino di notte, perché mi piace e perché ne ho bisogno.
Varcata la porta del convento, mi si aprono due possibilità: andare a destra, verso piazzale Arnaldo scendendo verso via del Castello, oppure andare a sinistra, scendendo verso la città vecchia, o continuando in discesa lungo la strada che mi porterà a san Faustino.
Che io scelga una via, piuttosto che un’altra, tra gli alberi, nel buio della sera, non cambia nulla: mi imbatto sempre in loro, i ragazzi.
Alcuni a coppie, altri a piccoli gruppi e altri… soli. E la sinfonia è sempre la stessa: rumori di bottiglie, bisbigli, risatine e il suono di accendini semi scarichi mi strappano un sorriso un po’ malinconico e fraterno.
Nel rosario che talvolta mi accompagna, o spegnendo le cuffie con un tocco, non riesco a non mormorare una preghiera silenziosa per ognuno di quei ragazzi che incontro lungo la strada.
Alcuni hanno gli occhi illuminati da un sogno, un desiderio, altri più smaliziati ti guardano quasi con sfida; basta un secondo per leggerti dentro.
Sembrano avere sempre molta chiarezza su chi hanno di fronte, ma sembrano averne di meno su quello che c’è dentro di loro.
Vorrei dirgli: “Ma lo sai che sei abitato da Qualcuno? Sai che dentro di te c’è la Presenza viva di Colui che ti ha creato, e ti ha creato per amore e per essere in relazione con Lui?”.
Fresco di anni sulla dottrina dei nostri santi mistici, le domande aumentano. Ma non voglio pensare alle conseguenze se gliele ponessi per davvero. Mi prenderebbero per uno svitato; e nemmeno potrei dargli torto; e magari una di quelle bottiglie di vino o birra vuote finirebbe sulla mia testa.
Allora mi stringo nella felpa e continuo con la mia preghiera pensando a ognuno di quei volti appena incontrati.
Io, come don Bosco, so fischiare. Ma non so fischiare come Don Bosco. Non so dire a un ragazzo “seguimi e ti parlerò del Signore” utilizzando il gioco e il sorriso come sapeva fare lui.

L’unica cosa che posso e, per adesso, so fare è tenerli col cuore e di cuore davanti a Lui. Così come faccio per i miei cari e per i cosiddetti “nemici”, quelli che a perdonarli proprio viene difficile.
Questo desidero: uno sguardo che chiama, che invita ad alzarsi, a mettersi in cammino; lo stesso sguardo che ho ricevuto e che mi ha risollevato; uno sguardo che vuole la vita per ognuno di noi, vuole una vita piena, impegnata, salvata dal vuoto e dall’inerzia.
Adesso tocca a loro.