Il “Nobel dei missionari”

Oggi, sabato 22 ottobre 2022, a Concesio (BS) il nostro padre Cesare Busecchi, in Madagascar dal 1987, riceve - insieme ad altre due consacrate missionarie - il premio "Cuore amico", un vero e proprio "Nobel dei missionari" che attesta il merito di una vita spesa per Cristo in mezzo ai più poveri. Ospite per l'occasione in questi giorni nella nostra casa di studentato, non ci siamo fatti sfuggire l'occasione per conoscerlo meglio.

Una breve presentazione?

Mi chiamo padre Cesare, sono nato a Colombaro di Corte Franca nel 1949 e sono stato ordinato sacerdote qui a Brescia nel 1975. Dopo un periodo di studi presso l'”Istituto Biblico”, nel 1987 sono partito per il Madagascar, dove la nostra Provincia religiosa da qualche anno aveva fondato una missione.

 

Come è vivere la tua “missione” in Madagascar?

Mi ha colpito fin da subito il modo di vivere, di pensare di questo Paese, è stato bello e interessante. E per me è stata fin dall’inizio un’esperienza piena, andando in foresta, facendo lunghe camminate per spostarsi da un villaggio all’altro e incontrando tutti i giorni nuova gente. Questa frenesia mi ha animato, mi ha fatto sentire fin dai primi giorni “missionario”.

In un secondo momento, com’è normale, è subentrato un tempo di riflessione. A me è capitato quando sono stato nominato parroco in una periferia di Antananarivo [la capitale]. Mi sono interrogato sulla situazione di queste persone, sulla loro povertà.  Perché questa povertà? Che cosa posso fare io? E loro? Perché sì, è vero che il Madagascar è povero, ma anche lì c’è una certa differenza. C’è chi ha abbastanza per avere qualche possibilità [ha una casa, una buona istruzione, ha sempre qualcosa da mettere in tavola…] e chi invece non ha proprio nessuna possibilità. E allora mi sono posto il problema di come aiutare, educare queste persone anche nella condivisione.

E poi sono rimasto meravigliato dell’entusiasmo interiore ed esteriore che hanno per la loro fede. Vengono in chiesa volentieri, tutti cantano, ballano, partecipano alla Messa. E stanno tutti attenti, anche a quello che dici in predica. Essere sacerdote lì è davvero bello.

 

Oltre al parroco hai dovuto ricoprire altri incarichi?

È arrivato anche il momento di prendermi cura dei giovani in formazione, e con ognuno di loro capire, discernere la vocazione. Perché lì ce ne sono anche tante, ma c’è da comprendere se dovute a un autentico amore per la vita consacrata, oppure se dettate dal desiderio di fuggire da situazioni famigliari difficili.

Però, stando insieme, si intuisce che in parecchi di loro c’è una solida, concreta passione per la vita sacerdotale. Molti di loro vengono da quelle che noi chiamiamo “famiglie di catechisti”, perché vengono da villaggi sperduti nella foresta dove il sacerdote incaricato di prendersi cura di quella comunità riesce a malapena a passare di lì ogni due, tre mesi; e nei giorni restanti è la famiglia che prega con i figli e li educa alla fede. In queste situazioni nascono riflessioni, primi barlumi di vocazione, perché i bambini, i ragazzini dicono: “Il prete è molto impegnato e raramente riesce a venirci a trovare. Potrei fare io questo compito!”.

  

Ti è stato chiesto di partire per la missione o è stata una tua decisone?

È stato un desiderio che ho sempre avuto e amato. Quando ero giovane facevo parte del gruppo di frati studenti che si interessavano al mondo delle missioni. E quando dicevo ai Superiori in Madagascar che se volevano potevano chiamarmi, loro mi rispondevano sempre di no, che non dovevano essere loro a chiamarmi ma io a volere e ad andare là di mia sponte. Nel 1987 ci fu il Capitolo Provinciale e fu allora che comunicai ai confratelli la mia scelta di partire per la missione. E sono ancora là.

 

- Redazione

Trovi qui l’intervista che “La Voce del Popolo” ha fatto a padre Cesare: